martedì 17 gennaio 2012

PANNELLA E BOSSI, DUE LEADER IN DEBITO COL CAVALIERE


I DUE SONO LEGATI A BERLUSCONI DA ANNI, PER UNA SORTA DI ETERNA RICONOSCENZA. L’EX PREMIER IN FONDO LI HA SALVATI

La ciambella di salvataggio lanciata nei giorni scorsi al deputato del Pdl Nicola Cosentino, in odor di arresto, da parte di Lega e Radicali, conferma il fatto che i rispettivi leader di questi due partiti, Bossi e Pannella, non sanno e forse non possono dire di no a Berlusconi. Più di una volta, specie negli ultimi mesi, le due formazioni politiche sono corse in aiuto al Cavaliere. Suscitando non poche polemiche, visto che il Carroccio si professa paladino della legalità e dell’onestà nordica e il secondo è entrato alla Camera solo grazie ai cinque posti riservatigli dal Pd.
Ma cosa mette così tanto in difficoltà i due vecchi volponi della politica italiana, Marco e Umberto, nel dire no a Berlusconi? Forse il fatto che quest’ultimo, in passato, li ha salvati da un fallimento certo.

BERLUSCONI COMPRO’ IL SIMBOLO LEGHISTA IN CAMBIO DEL SILENZIO – Due ex leghisti hanno fatto emergere, in due diverse trasmissioni Tv, un’autentica compravendita del simbolo leghista da parte di Berlusconi, per una sorta di scambio in cui il Cavaliere avrebbe rinunciato “a un serie di cause civili per gli slogan e le paginate” de La Padania in cui il premier “veniva accusato di essere mafioso”, in cambio della cessione della titolarità del simbolo del Carroccio.
Il primo a rivelarlo fu Gilberto Oneto durante L’Infedele di Gad Lerner.
Architetto, giornalista è studioso dell’autonomismo delle regioni padano-alpine. Iscritto alla Lega dal 1986, dieci anni dopo viene nominato responsabile dell’identità culturale nel “Governo della Padania”. Per anni – prima di entrare in polemica con la dirigenza leghista – ha tenuto rubriche settimanali di storia identitaria sul quotidiano La Padania e su Radio Padania Libera. Per Libero ha praticamente riscritto la storia del Risorgimento in salsa leghista. Amico e collaboratore di Gianfranco Miglio, Oneto conosce la Lega da dentro, essendovi rimasto nel 2006.
Poi ne ha riparlato un altro leghista della prima ora, anche se da un po’ ha smesso di esserlo: l’ex direttore de La Padania Gigi Moncalvo nel corso del programma di Lucia Annunziata In mezz’ora.
Secondo il giornalista, che cita tra le altre fonti la ex giornalista di Radio Padania Rosanna Sapori e il giornalista di Famiglia Cristiana Guglielmo Sasimini, ci sarebbe un “vero e proprio contratto stipulato davanti a un notaio”. L’accordo, datato gennaio 2000, sarebbe stato firmato un anno prima delle politiche del 2001 in cui Bossi e Berlusconi erano alleati. Nel giugno del 2000 infatti, come aveva documentato Mario Calabresi su Repubblica, Giovanni Dell’Elce,, allora amministratore nazionale di Forza Italia e oggi deputato del Pdl, scrisse alla Banca di Roma per comunicare una fideiussione di “due miliardi di vecchie lire a favore della Lega”.
Moncalvo ha aggiunto che “Berlusconi aveva fatto un intervento economico pesante a favore della casse della Lega” che allora versava in uno stato finanziario critico: la sede del partito era stata pignorata e i giornalisti non ricevevano più lo stipendio. A quel punto Berlusconi avrebbe rinunciato “a un serie di cause civili per gli slogan e le paginate” de La Padania in cui il premier “veniva accusato di essere mafioso” in cambio della cessione della titolarità del simbolo del Carroccio. Una compravendita che Moncalvo definisce “tipica della mentalità di Berlusconi”. A fare da mediatore nell’acquisto, di cui Umberto Bossi, la moglie Manuela Marrone e Giuseppe Leoni avrebbero disposto del 33% ciascuno, sarebbe stato Aldo Brancher, il ministro con la più breve carica nella storia della Repubblica.
Oltre alla titolarità del simbolo, il patto prevedeva anche la formazione di un think tank per la formulazione di una riforma costituzionale per l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. E se fosse passata col referendum, Napolitano, aggiunge Moncalvo, sarebbe stato “costretto a dimettersi”. Dall’altra parte Berlusconi, “convinto di essere eletto dal plebiscito popolare”, sarebbe andato al Quirinale. A fare parte del think tank, aggiunge l’ex direttore de La Padania, anche “Tremonti, Calderoli e La Russa” mentre “Follini e Fini combatterono fino in fondo” affinché la riforma non passasse. Di fatto il piano ha subito un arresto l’11 marzo 2004, in corrispondenza della “fermata ai box di Bossi per motivi di salute”.

MARCO E SILVIO, UN’AMICIZIA COMINCIATA AL DRIVE IN – Durante una puntata di Drive in andata in onda il 4 novembre 1986, Marco Pannella fa il proprio ingresso sulle note di un agghiacciante pezzo dance. Appende al primo metro quadro di scenografia disponibile un manifesto dei Radicali e, circonfuso di tamarri col Monclèr, attacca un memorabile pippone sulla vergogna partitocratica. Pochi minuti dopo arrivano anche Ezio Greggio e Gianfranco D’Angelo, cui Pannella spiega esaustivamente le vantaggiose condizioni predisposte dal partito per chi si voglia iscrivere. Più tardi farà la propria comparsa anche Lory Del Santo.
Che il Cavaliere fosse un amico, Pannella lo capisce al volo in quell’autunno ’86. I Radicali rischiano di chiudere baracca, e il tele-megafono targato Biscione sarà decisivo nel portare iscritti e liquidità nelle casse del partito (al congresso di qualche settimana dopo si toccherà il record storico di 5.300 tessere). Senza contare che - buon sangue non mente - Silvio ha tutto l’interesse di questo mondo a farsi amici i Radicali: Enzo Tortora è appena stato assolto e - ricorda Mauro Suttora nel suo “Pannella, l’istrione” - «vuole tornare in tv. Berlusconi gli fa la corte, vuole strapparlo alla Rai. Così Canale 5 si apre ai radicali, che vengono invitati in ogni programma».
Fatto sta che, complice anche la comune vicinanza con Craxi, l’amore sboccia e la prova arriva qualche tempo dopo. Elezioni del ’94: i Radicali si candidano col Polo al Nord. A elezioni vinte, Silvio vorrebbe Pannella ministro della Giustizia. Marco nicchia, vuole gli Esteri («E il ministro designato Antonio Martino», racconta oggi il Radicale storico Marco Taradash, «era anche disponibile a fare un passo indietro»). Alla fine non se ne fa più niente perché arriva il consiglio di Gianfranco Fini. Che, forte della lungimiranza che ancora oggi lo caratterizza, stoppa tutto perché «con lui ministro, il governo Berlusconi diventerebbe il governo Pannella». Silvio ci pensa un po’ e alla fine concorda.
Da lì, inizia il periodo di magra. Giusto il tempo di incassare il via libera del governo alla nomina di Emma Bonino alla Commissione europea che, alle Regionali del ’95, le vie di Berlusconi e di Pannella si dividono. Restano tali anche alle Politiche del ’96, quando la trattativa sui posti in lista naufraga e con essa le chance di battere Prodi. Col quale, dopo la parentesi autonomista del 2001, Pannella si schiera nel 2006, contribuendo in modo determinante alla vittoria del Professore. Che lo ripaga accordando ai Radicali considerazione pari a zero. Stesso copione all’ultimo giro, con la pattuglia pannelliana caricata di malavoglia dal Pd e trattata - gli ultimi episodi sono cronaca recente - come una manica di appestati. Pannella ripaga a suon di insulti, che hanno come destinatario lo stesso Berlusconi. Ma poi, quando è in difficoltà, Pannella non sa dirgli di no.

Umberto, Silvio e Marco, come il lungo, il corto e il pacioccone di una vecchia canzoncina dello Zecchino d’oro. Amicizie di convenienza, magari anche un pizzico sincere, tra chi si para il culo a vicenda da 25 anni. Chissà come sarebbero Lega, Pdl e Radicali senza i loro rispettivi padri fondatori e padroni. Probabilmente molto meglio.

4 commenti:

  1. ho paura di si...altrimento non si spega l'atteggiamento assurdo della Lega, o almeno di una parte di essa...

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  2. che schifo veramente... sono quasi senza parole guarda!

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  3. caro Scialò, leggere il mio libro su Pannella non ti e' servito a nulla: sui radicali hai scritto un sacco di stronzate.
    Sono nati molto prima di Craxi e Berlusconi, e dopo aver sepolto il primo lo faranno anche con il secondo (politicamente: non auguro la morte a nessuno...)

    Mauro Suttora

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  4. Mah... quanto alla Lega, senza andare a scomodare il discorso del simbolo leghista che ogni tanto spunta fuori, penso che la spiegazione sia più semplice ed è riferibile alla campagna mediatica portata avanti da il Giornale sull'affaire Tanzania alcuni giorni prima della decisione alla Camera ed il giorno dopo sparita come per incanto.
    Invece per quanto riguarda i radicali, non mi sono mai piaciuti proprio per il loro arrivismo privo di ideali (o ideologie)... mi pare però che ultimamente abbiano davvero oltrepassato il segno, arrivando a dei livelli di mercenarietà che farebbero impallidire il buon scilipoti...

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