mercoledì 21 dicembre 2011

DOPO QUASI NOVE ANNI GLI USA LASCIANO L’IRAQ, UN INFERNO SECONDO SOLO AL VIETNAM


MA IN TERMINI DI COSTI ECONOMICI E’ STATO MOLTO PEGGIO

Correva l’anno 2003, una notte tra il 19 e il 20 marzo. L’amministrazione Bush, sfruttando ancora una volta l’onda emotiva provocata dagli attentati dell’11 settembre di due anni prima come fatto in Afghanistan, invade l’Iraq di Saddam Hussein. George si spinse dunque oltre i suoi predecessori, il padre omonimo e il democratico Bill Clinton, i quali cercarono di intimorire il Raìs senza però volerlo rimuovere; consapevoli di quanto ciò avrebbe provocato. Ma l’occasione era troppo ghiotta per non accontentare le lobby del petrolio e delle armi, e dunque era giunta l’occasione propizia per muovere quella guerra preventivata da circa vent’anni. Il resto è storia nota, una storia drammatica.
 
IL RITIRO - La scadenza fissata per il ritiro era il 31 dicembre 2011, ma l’amministrazione di Barack Obama – in difficoltà su altri fronti a partire dall’economia – aveva promesso il rientro a casa per Natale. Ed è stato di parola. Del resto, la scelta di assegnarli il Premio Nobel per la pace appena insediatosi come Presidente degli United States, non è stata casuale.
Erano da poco passate le 7,30 del mattino, ora locale, quando l’ultima colonna di blindati statunitensi ha lasciato l’Iraq e superato il confine con il Kuwait, prima tappa del ritorno verso gli Stati Uniti. Un centinaio di mezzi blindati, con a bordo un battaglione di soldati, fotografati dai loro commilitoni in attesa sul lato kuwaitiano della frontiera. In Iraq rimangono alcune centinaia di soldati, per l’ambasciata statunitense a Baghdad e per le ultime sistemazioni logistiche, poi anche questo sparuto contingente sarà ritirato, salvo il personale per la sicurezza della sede diplomatica.
Secondo alcune fonti di intelligence, peraltro, alcune unità ritirate dall’Iraq ci metteranno un po’ a tornare negli Usa. La Giordania, che ha un accordo con gli Usa per il transito delle truppe e per l’uso di alcune basi militari, ha accolto alcuni reparti nella base aerea di al Mafraq, a dieci chilometri dal confine siriano.

UN BILANCIO DAI COSTI INCALCOLABILI – Inutile dire che il sangue versato è stato molto. Secondo l’Iraq Body Count, un osservatorio indipendente che calcola le vittime civili dall’inizio del conflitto, tra 98mila e 106mila civili iracheni hanno perso la vita dal 2003 a oggi. I soldati statunitensi uccisi sono stati 4500 e oltre 30mila i feriti.
I costi per l’economia statunitense variano dalla cifra ufficiale di 802 miliardi di dollari alle stime del premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, che parla di un costo complessivo di 3 trilioni di dollari. Incalcolabili i danni per l’Iraq, le cui infrastrutture sono state quasi completamente distrutte nelle fasi iniziali del conflitto con i bombardamenti aerei e sono ancora in via di ricostruzione.

I PUNTI OSCURI – Oltre ai motivi esposti dagli americani per giustificare la guerra - che in realtà fin dal primo momento non hanno mai convinto la più parte della stampa internazionale e degli esperti di politica internazionale - altri punti oscuri hanno macchiato questo conflitto, al punto da renderlo secondo solo al Vietnam dal punto di vista dell’impopolarità. Si pensi agli orrori del campo di Abu Ghraib, le stragi dei kamikaze della galassia jihadista vicina ad Al Qaida, i succitati numeri esorbitanti relativi alle vittime e ai costi, i brogli delle elezioni post-Saddam.

L’IRAQ OGGI – Con la destituzione di Saddam nel 2003 e l’istituzione di un governo provvisorio controllato dagli Usa, dal 2005 l'Iraq è una repubblica parlamentare, federale, democratica, islamica. Le elezioni svoltesi lo stesso anno, hanno visto la vittoria della Coalizione Irachena Unificata (oltre il 41% dei voti e 128 seggi), la lista con grande prevalenza di partiti islamici sciiti. Secondo partito l’Alleanza del Kurdistan (21,7% e 53 seggi), coalizione dei principali partiti curdi, di ispirazione prevalentemente laica. Un buon risultato hanno ottenuto le due principali coalizioni sunnite, quella di matrice religiosa del Fronte dell'Accordo Iracheno (o Fronte della Concordia Irachena) e quella di matrice laica, fortemente critica verso la nuova costituzione, del Fronte Iracheno del Dialogo Nazionale.
Il nuovo Governo è stato formato solo nel corso del 2006, quando si è potuto avere un risultato definitivo delle elezioni e un accordo tra i principali partiti usciti dalle urne. In realtà le elezioni parlamentari del gennaio 2010 hanno palesato una forte instabilità dell’assetto politico iracheno, che ha come prima conseguenza la difficoltà di eleggere un nuovo Governo, Premier in primis. A ciò va aggiunto il crescente numero di attentati degli ultimi anni, segno di un malcontento che sta fermentando pericolosamente.

Insomma, gli Usa lasciano un Iraq nel caos politico e civile. Scappano da un inferno che loro stessi hanno creato quasi nove anni fa. Molti iracheni hanno perso il proprio posto di lavoro (dall’impiegato pubblico all’artigiano), per non parlare di quanti non hanno più una casa e hanno perso i propri cari. Certo, il regime di Saddam aveva i suoi aspetti atroci, ma è altrettanto atroce l’idea di voler esportare la democrazia in altri Paesi mediante operazioni militari compiute “dall’alto”. I popoli Nordafricani ci hanno fatto ricordare come si ottiene la libertà e la democrazia partendo da se stessi e dal basso. Ma all’amministrazione Bush si sa, non interessava la libertà degli iracheni, bensì rimettere in moto l’economia. D’altronde la storia americana del ‘900 ci offre vari esempi di questa strategia, e nei primi dieci anni del 2000 ben due sono state le guerre da loro mosse per tali fini. Peccato però che sia tale politica estera, che quella economica dei “subprime” per far tornare grande l’America, abbiano portato effetti devastanti non solo ad essa, ma al Mondo intero.

2 commenti:

  1. è stato peggio del Vietnam, anche perchè significa che il Vietnam non ha insegnato nulla...

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  2. Ottima rievocazione Luca.
    E come spesso accade, mi trovi d'accordo nell'analisi.
    Fu uno scandalo quella guerra. Furono uno scandalo le bugie addotte per giustificarla, e quelle create per nascondere ciò che accadeva.
    Una cosa ben diversa dalla guerra mossa ai talebani.
    Un saluto

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