venerdì 23 ottobre 2015

Podemos, la festa è appena cominciata ma è già finita: i numeri su cui si attesta oggi

IL PROSSIMO 20 DICEMBRE IN SPAGNA SI TERRANNO LE ELEZIONI POLITICHE E IL PARTITO VIENE DATO MOLTO INDIETRO RISPETTO AGLI ALTRI

Negli ultimi due anni la Spagna ha registrato una notevole crescita economica, con un miglioramento generale degli indicatori. Grazie alla cura rigida del conservatore Mariano Rajoy, occhialuto, barba incolta, serioso. Lontano dallo stereotipo tipico dei leader politici populisti e pittoreschi che proliferano in Europa da qualche tempo. Certo, l'austerity sta facendo allargare anche le sacche di povertà. Le organizzazioni caritatevoli, laiche e religione spagnole, non bastano a tamponare un fenomeno in crescita, soprattutto nelle grandi città e nelle regioni del centro sud della penisola. Colpa di quei piani lacrime e sangue imposti a Madrid dalla troika hanno anche scagliato la società indietro di decenni: disoccupazione alle stelle, decurtazioni salariali, protezioni sociali e sanità tagliate con l’accetta, un’ondata di sfratti. Ma si sa, l'importante è avere i complimenti da Bruxelles.
In questa Corrida sociale Podemos non sta crescendo di certo in popolarità. Anzi. Le ultime amministrative e i sondaggi in vista delle prossime elezioni politiche del venti dicembre danno il movimento su numeri imbarazzanti. Almeno rispetto agli esordi.

I NUMERI IMBARAZZANTI - Fino a qualche settimana, mese fa, a molti sembrava che i tempi duri stessero per terminare, che una classe politica inetta e corrotta sarebbe presto stata spazzata via e di governare si sarebbero incaricate delle persone nuove, non compromesse, oneste, razionali e preparate. Ma Podemos, dato fino a qualche tempo fa come in testa ai sondaggi, o al massimo come staccato di pochi punti dai primi in classifica, intorno al 25%, crolla ormai inesorabilmente di settimana in settimana nelle intenzioni di voto. Il movimento populista di sinistra (ma guai a identificarsi in una categoria politica considerata obsoleta e inopportuna) non aveva brillato particolarmente già alle amministrative e alle regionali, ma poi è arrivata la batosta catalana: la sezione locale Podem, alleata con ben tre partiti di sinistra all’interno della coalizione Catalunya Si Que Es Pot (Catalogna si che si può) non ha preso neanche quanto conquistato la volta precedente da questi ultimi. E’ stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: dirigenti locali ma di peso statale che si dimettono e ulteriore crollo nei sondaggi.
Gli ultimi relegano Podemos solo al quarto posto e molto staccato dietro la destra – i popolari vengono dati vincenti con il 25-29% circa – i socialisti – accreditati di un 23-25% – e il partito liberale Ciudadanos, che con il 21% metterebbe in discussione lo storico monopolio delle due forze che si sono spartite il potere a Madrid dopo l’autoriforma del regime franchista e l’inizio della cosiddetta ‘era democratica’. Il movimento di Pablo Iglesias prenderebbe allo stato solo il 12-15%. Una percentuale di tutto rispetto, certo, ma almeno dieci punti sotto i sondaggi di pochi mesi fa e soprattutto ben al di sotto della forza necessaria per sparigliare le carte e rompere l’asfissiante bipartitismo (che diventa quadripartitismo proprio per rimanere in sella) che Podemos si era candidato a spazzare via.

LE RAGIONI DEL CROLLO - Non stupisce che nello stato maggiore di Podemos prevalgano le facce lunghe. Secondo alcuni analisti la crisi vera del movimento l’avrebbe determinata l’ingresso di Podemos nelle alleanze di governo per alcune importanti città e regioni dopo le ultime amministrative. Il partito ‘anticasta’ ormai da mesi governa le maggiori città del paese, in primis Madrid e Barcellona, in coalizione con alcuni partiti e formazioni di sinistra e centrosinistra. Niente di particolarmente compromissorio, finora. Ma l’essere passati da movimento di contestazione un po’ generica ma frontale al sistema a partito di governo ha certamente disorientato se non indispettito parecchi elettori o potenzialmente tali. Soprattutto perché in alcuni casi – anche in regioni importanti del paese – Podemos ha stretto collaborazioni di governo addirittura con gli odiati socialisti, indicati a lungo come parte di un sistema che andava spazzato via nella sua interessa e con il quale oggi si scende a compromesso in nome della realpolitik e della ‘responsabilità’.
Stando ai sondaggi, Podemos potrebbe essere determinante per formare anche il governo statale: se il prossimo 20 dicembre i socialisti non arriveranno troppo lontani dal partito dell’attuale premier Mariano Rajoy, infatti, un’alleanza tra Psoe e Podemos e qualche partito regionale ancora più moderato potrebbe avere i numeri per governare. Ma come socio di minoranza, e quindi senza la possibilità di far valere più di tanto il proprio programma e i propri obiettivi.
Ovviamente Podemos potrebbe decidere di rimanere fuori dai giochi, e di lasciare ad una eventuale ‘grande coalizione’ tra PP e Psoe, o ad una alleanza centrista tra socialisti e Ciudadanos, l’onere di governare, rinvigorendo la battaglia d’opposizione. Ma dentro il partito negli ultimi tempi è cresciuta la voglia di governo e i fautori della permanenza all’opposizione dovranno faticare non poco a tenere Podemos lontano dai socialisti.
Paradossalmente negli ultimi tempi, a partire dal boom elettorale delle scorse europee, la direzione di Podemos e molte ramificazioni locali hanno inferto al partito una sterzata moderata assai consistente a proposito di linguaggi, programmi, strategie. Con il risultato che se per gli elettori di destra il movimento rimane “troppo radicale” e troppo connotato a sinistra, per molti elettori che pretendono una rottura da posizioni classiste rispetto all’insopportabile status quo Iglesias e soci sono ora troppo moderati. Una sensazione confermata e aggravata dalla recente rottura tra Izquierda Unida (che ha subito un'ennesima scissione moderata) e Podemos, avvenuta soprattutto per colpa di questi ultimi; e dal sostegno incondizionato accordato dallo stato maggiore del partito populista a Syriza nonostante la capitolazione di Tsipras di fronte ai diktat della troika e la firma del Terzo Memorandum. Una mossa assai poco ben vista all’interno di alcuni spezzoni di quei movimenti sociali e di contestazione all’austerity e al pagamento del debito che pure hanno contribuito fino ad un certo punto alla formazione e alla crescita di Podemos. Se ci si aggiunge poi che il partito ha di fatto accantonato ogni seria critica nei confronti dell’Unione Europea e in particolare le proposte, seppur timide avanzate finora, di rottura con l’Eurozona, si capisce quanto la creatura di Iglesias sia in ribasso in certi ambienti sociali e politici radicali. Un po’ sull’onda di quanto già ha fatto Syriza in Grecia con i socialisti del Pasok, di fatto rimpiazzati da Tsipras all’interno del loro spazio politico, Podemos si sforza di convincere gli elettori di centrosinistra di rappresentare un’alternativa migliore rispetto ai vecchi arnesi del Psoe. I sondaggi e le emorragie di militanti dicono che questa strategia non funziona. In crisi c'è andata, e senza neanche il tempo di metterla a confronto con i fatti come è almeno avvenuto ad Atene, l'idea che il problema non sia il capitalismo in sè, ma una cattiva gestione dello stesso da parte di classi dirigenti dominate da anziani, inetti e corrotti. Secondo tale logica, basterebbe portare al governo una nuova classe dirigente giovane, competente e onesta per rimettere le cose a posto...

In un precedente post avevo definito Podemos ''un po’ Grillo e un po’ Tsipras''. E avevo ragione. Il modo di agire del movimento è vicino al primo, ma l'attrazione verso il potere e i compromessi è simile al secondo. Povero Civati, il suo Possibile è già fallito.


(Fonte: Contropiano)

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